La funzione trascendente e l’Io in un approccio di filosofia non duale. Prima di parlare di trascendere l’Io è bene conoscerlo, vediamo come.
L’Io è considerato, al pari dei demoni, tra le figure più bistrattate nei sentieri mistici. Sia che essi abbiano un approccio esistenzialista (āstika) sia che siano non sostanzialisti (nāstika), tutti i sentieri (mārga) prevedono il trascendimento dell’Io. L’Io è, a vederlo bene, l’architrave che porta sulle sue spalle l’intera lettura-costruzione della realtà. Questo del trascendimento, per fare spazio nella coscienza all’Assoluto, però è tra i più comuni fraintendimenti, non perché non debba avvenire, quanto invece perché non è l’Io a dover essere trasceso, o almeno non subito.
La prima precisazione che va fatta, è che innanzitutto andrebbero superati i capricci dell’Io. Ossia la sua dimensione più immatura, tutti i ritardi in termini di attaccamenti (rāga), avversioni (dveṣa) e illusioni (moha) ad una percezione falsata, patologica, egocentrica e non funzionale del suo ruolo. In realtà qualsiasi esperienza, spirituale o di risveglio, vissuta prima dell’individuazione dell’Io è propedeutica. Quindi è da ritenersi pre-egoica (ossia anteriore all’individuazione completa=formazione sana). Perciò non è da ritenersi trans-egoica (ossia liberatoria dai limiti caratteriali o di superamento dei confini della persona), come dovrebbe essere, per intendersi, in un sentiero non duale (advaita). Da ciò se ne deduce che il cammino è lungo, impervio e soprattutto non basta una incarnazione per il suo completamento.
Cosa succede all’Io che sopravvive all’estirpazione dei suoi capricci? Ebbene esso si compatta e, diviene funzionale ai suoi compiti e non disfunzionale rispetto ad un potere che non gli compete (egoicità patologica). L’Io, è sano se si è individuato, ossia se ha compattato i suoi limiti di competenza, essendo adatto agli scopi per il quale è prefisso. Esso non è né megalomane né narciso né autodistruttivo né sadico né masochista, etc, etc, etc.
Perché è necessario compattarlo prima di trascendere l’Io ?
Perché l’essere coscienti, ossia portare nella sfera della consapevolezza l’inconscio, è il grande compito di un Io sano. Solo un Io forte può tenere le bordate dell’inconscio, quando esso si manifesta, liberando la potenza delle pulsioni e degli archetipi. Ovvero quando invade il campo dell’Io quotidiano. Se l’Io è forte e tiene botta, parte della potenza inconscia, riversata senza controllo, viene integrata nel cosciente; se invece non lo è abbastanza, allora, l’Io cede sotto la pressione delle pulsioni e cade in una dimensione psicotica permanente.
Lo stesso Jung passò circa cinque anni da borderline, su e giù le colline delle dinamiche eruttive dell’inconscio. Egli fu però abbastanza forte e, integrata la funzione del transcendente nel quotidiano, ossia un più forte cablaggio psichico, l’Io che rimase a sua disposizione si resettò come mera funzione di campo e non più come una scimmia disfunzionale.
Ne sono esempi, di questi Io “forti e goderecci”, il Buddha, Paolo di Tarso, Francesco d’Assisi, il Re Buddhista Aśoka. Ovvero tutte persone fortemente assorbite dal mondo dei sensi prima del risveglio. Però avendo degli Io, compatti e volitivi che gli hanno permesso di tenere le redini dell’espansione della coscienza. Espansione avuta dopo la scintilla che l’inconscio superiore, la funzione trascendente, ha innescato in loro.
È dunque bene costruire un mondo dell’Io compatto e sensoriale perché l’unica cosa che gli viene chiesta dall’inconscio quando esonda è resistenza (pratikarman).
Ergo, per chi fa meditazione, non bisogna pensare tanto al trascendimento dell’Io, a porre l’attenzione alle esperienze di incenerimento, quanto piuttosto alla sua sana e completa formazione, perché il trascendere l’Io è il naturale sviluppo dello stadio precedente.