Suoni Armonici e Risonanza acustica

Qualsiasi suono noi possiamo udire da un corpo vibrante, non è esistente come fenomeno indipendente, ma è la sintesi di una infinita serie di onde sonore che lo compongono, ovvero gli armonici: questi sono multipli del suono fondamentale.

Per fare un esempio, se analizziamo un suono fondamentale la cui frequenza è pari a 131 hertz, gli armonici che lo compongono corrispondono alla frequenza di 131 moltiplicata per uno, due, tre, quattro, cinque, e così via.

Man mano che ci si allontana dalla frequenza di base gli armonici crescono in altezza e proporzionalmente la distanza tra essi si accorcia. Prendendo i primi cinque armonici, il primo armonico corrisponde al suono fondamentale; il secondo a questa ma più alta di un’ottava; il terzo alla quinta nota dopo la precedente; il quarto alla quarta nota; il quinto alla terza nota. Nel caso preso ad esempio, 131 hertz corrisponde ad un do, e i suoi primi cinque armonici saranno rispettivamente il do stesso, un do all’ottava sopra, un sol, un do più alto di un’ottava rispetto al precedente e un mi. Continuando l’analisi con gli altri armonici troveremmo tutte le note fino a superare la nostra stessa notazione sconfinando in ambito microtonale. Un aspetto particolarmente interessante riguardo alle onde armoniche è che esse si trovano rispetto alla fondamentale in un rapporto preciso.

Prendendo nuovamente ad esempio i primi cinque armonici, tali rapporti sono, in ordine e partendo dal secondo: 1/2, 1/3, 1/4, 1/5 (continuando con 1/6, 1/7, 1/8, ecc.). Questi rapporti furono osservati dai pitagorici con il monocordo, e poterono sperimentarli su una corda tirata dividendola (per mezzo di un ponticello mobile) prima a metà, poi a un terzo di essa, poi a un quarto, a un quinto, e così via; ciò che ottennero furono suoni che vengono appunto chiamati armonici, suoni che disposti in successione diedero la nostra scala musicale. Per mezzo di tali osservazioni si definì la base per l’impianto teorico del nostro sistema musicale.

Le note musicali dunque non sono invenzione umana, ma suoni che rappresentano proporzioni e rapporti naturali rispetto a un suono fondamentale. L’evidenza di ciò è riscontrabile in ogni momento, se solo prestiamo la dovuta attenzione: ogni suono e rumore che ascoltiamo è in realtà la somma di altri suoni, dal timbro cristallino, che sono sottilmente percepibili, gli armonici. Gli armonici possono essere notati in modo particolarmente brillante nella voce: nelle tradizioni di diversi popoli antichi, e in particolar modo in Mongolia, vengono tramandate peculiari tecniche di canto che, servendosi della modulazione della lingua e delle labbra, mettono in evidenza le componenti della nota cantata. L’effetto è quello di una doppia voce (diplofonia): da una parte si ha il tono di base, e dall’altra, sovrapposti, suoni brillanti e cristallini, cioè gli armonici. L’abilità del cantante qui è di dar luogo con gli armonici a melodie anche molto veloci, che danno l’impressione a chi ascolta di essere cantate in contemporanea con la nota di base: in realtà il cantante sta solo utilizzando le risonanze del cranio e del palato per manifestare le componenti della nota di base che sta emettendo con la propria voce, componenti altrimenti latenti.

Le note che si possono generare con il canto armonico presentano infatti gli stessi rapporti analizzati poco sopra e ne rappresentano una precisa porzione. Il canto armonico esprime al meglio e in modo più evidente l’illusorietà della nostra percezione rispetto alla vibrazione: laddove crediamo di percepire elementi sensoriali unitari e autonomi, preesistenti, stiamo invece incontrando modalità di un’unico fenomeno che appaiono illusoriamente come distinte e indipendenti. Gli stessi armonici sono alla base di un fenomeno particolare e affascinante, cioè della risonanza per simpatia.

Alcuni strumenti come il sitar (e molti altri cordofoni della tradizione indiana classica, come il sarod o il sarangi) sono dotati di una serie di corde accordate sulle note della scala in uso: tali corde, dette simpatetiche, non vengono suonate dal musicista, ma risuonano spontaneamente al tocco delle altre corde. Ciò che anima tale risonanza è l’onda sonora proveniente dalla corda pizzicata, che incontra un corpo la cui accordatura corrisponde alla frequenza dell’onda stessa. Il fenomeno della risonanza fu descritto nel 1600 tramite l’osservazione di due pendoli l’uno di fianco all’altro; dopo un certo tempo questi assumevano la tendenza a sintonizzare la propria oscillazione in un tentativo di stabilire un ritmo comune. Ciò è dovuto ad un accumulo dell’energia che determina l’aumento dell’ampiezza delle oscillazioni, che in determinati contesti può arrivare a crescere esponenzialmente fino a distruggere il sistema sollecitato.

Nel caso del sitar questo fenomeno è sfruttato per dar luogo ad un eco naturale che è caratteristico dello strumento indiano. La risonanza acustica è riscontrabile anche nell’ambito di una performance di coro armonico, laddove si può assistere all’esponenziale aumento delle armoniche vocali per via dell’aumento progressivo dell’ampiezza delle onde sonore: l’effetto è quello di uno sciame di voci non localizzabili che si muovono nell’ambiente. Sia nel caso del sitar che del coro armonico, l’elemento di maggiore interesse è dato dall’effetto psico-fisico che la risonanza suscita: un senso di immediato rilassamento corporeo e mentale viene spesso riportato da spettatori e musicisti in entrambi i casi.

About the author

Emanuele Milletti Ysmail

Polistrumentista e musicoterapeuta con una formazione variegata ed eclettica nei sistemi musicali sia occidentali che orientali, ha studiato Sitar e musica classica indiana nella tradizione di Varanasi, sotto la guida di eminenti esponenti come Pandit Amarnath Mishra in India e Gianni Ricchizzi in Italia. Inoltre ha studiato basso jazz presso il conservatorio di Genova, si…

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