Rasa, luce e suono.

La definizione che Abhinavagupta dà di śānta rasa richiama le caratteristiche della vibrazione nelle sue forme di luce e suono.

Quello che accade tra i colori e il bianco pare infatti essere una valida metafora, anzi, un parallelismo luminoso, delle relazioni tra gli apparentemente molti rasa e l’unico śānta. La newtoniana teoria dei colori ci ha mostrato diversi secoli addietro, attraverso il noto esperimento del prisma, come la sintesi additiva dei colori presenti nello spettro visibile dia il bianco, e come la sua rifrazione generi appunto lo spettro dei colori visibili.

Non si può negare che un rosso sia rosso; ma non possiamo dire al tempo stesso che esso sia preesistente nella forma di rosso, giacché questi non può esistere indipendentemente dal bianco di cui è una delle componenti, e il bianco è sua volta la sintesi del rosso e tutti gli altri colori dello spettro. Allo stesso modo i vari rasa, che appaiono essere così chiaramente distinguibili tra loro da lasciar intendere che siano preesistenti autonomamente, non essendo in alcun modo separabili da ciò che li sperimenta, e al tempo stesso provenendo dalla coscienza dell’artista che li ha veicolati, non possono essere considerati come indipendenti nella loro molteplicità apparente, bensì devono essere visti come modalità della coscienza da cui emergono e che al tempo stesso li elabora, nell’artista così come nello spettatore.

Ancora il parallelismo con la luce ci è utile per approfondire l’argomento dell’estetica: i diversi colori non vengono percepiti perché “esistenti” in senso stretto in associazione ad un dato oggetto (esempio: “il divano è rosso”), piuttosto tale oggetto assorbe la luce bianca, cioè tutte le frequenze dello spettro, ma di questa ne riflette una o più componenti, anche mescolate fra loro. Quando vediamo un oggetto bianco è perché questo riflette l’intero spettro. In breve, il colore percepito dall’occhio umano è la lunghezza d’onda dominante e non l’assenza delle altre.

Abbiamo proposto un’analogia evidentemente di natura simbolica, accostando śānta rasa alla luce bianca, eppure un’affermazione riguardante anāhata che poc’anzi abbiamo citato dal commentario del Saṅgītaratnākara, pare indicarci che in questo vi è qualcosa di più che meri aspetti simbolici: “anāhata è oggetto d’esperienza mistica yogica, nella quale suono e luce sono fusi insieme e vi è percezione diretta”. Percezione diretta (pratyakṣa), non mediata, fusione di luce e suono: in queste poche parole i termini della nostra analogia, ovvero l’ente che percepisce e conosce, cioè la coscienza, e gli oggetti conosciuti nella forma di luce e suono, convergono e cooperano nell’esperienza mistica come in un unico evento inscindibile.

Anche Abhinavagupta ci dice qualcosa di analogo indicando che la natura profonda del rasa è ānanda, esperienza di beatitudine ed unione divina. Nell’aspetto della vibrazione che concerne il suono, nonostante possano essere trovate differenze sostanziali con il fenomeno della luce, permane il principio di una molteplicità apparente inscindibile da una unità originaria. Ciò si spiega con gli armonici.

About the author

Emanuele Milletti Ysmail

Polistrumentista e musicoterapeuta con una formazione variegata ed eclettica nei sistemi musicali sia occidentali che orientali, ha studiato Sitar e musica classica indiana nella tradizione di Varanasi, sotto la guida di eminenti esponenti come Pandit Amarnath Mishra in India e Gianni Ricchizzi in Italia. Inoltre ha studiato basso jazz presso il conservatorio di Genova, si…

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