Nella musica classica indiana le varie sensazioni e sentimenti suscitati appaiono con meno forza espressiva rispetto alla musica occidentale moderna e classica, ed è infinitamente più utile da un punto di vista della ricerca spirituale, lo stato primordiale della mente viene spinto al riconoscimento.
Musica orientale e percezione.
La musica occidentale, con i suoi picchi emotivi, i suoi alti e bassi, spesso ci porta a sperimentare forti altalene emotive, che però, una volta esaurito l’effetto bio-elettrico delle sue rapide discese e salite, ci lasciano nuovamente nella nostra condizione precedente, anche se senz’altro con nuovi elementi.
Da un punto di vista funzionale alla ricerca qui proposta, la musica classica indiana si rende particolarmente più efficace, così come con essa molte musiche tradizionali appartenenti ai culti e al folclore antichi di molte culture umane. Una delle differenze più importanti è infatti l’uso, nella musica classica indiana del bordone. Il bordone non è altro che la nota di base, che accompagna costantemente i movimenti dell’esposizione musicale, senza mai variare: è il suono continuo prodotto dalla tanpura, strumento cordofono classico indiano il cui unico scopo è fornire l’accordo della nota di base ininterrottamente. Tale accordo diventa dunque lo sfondo, il contesto sonoro nel quale avviene la performance musicale.
Tornando all’analisi tenso/distensionale di cui ci stavamo occupando nel post precedente, la presenza costante della nota di base comporta una notevole variazione di lettura; le altre note si relazionano costantemente ad essa e la comparsa della tensione o della distensione non è più un fenomeno ad effetto e a sorpresa, ma avviene sempre nel contesto della costante ricognizione della nota di partenza, che va dunque a costituire uno sfondo sonoro.
Ciò implica che le varie sensazioni e sentimenti suscitati appaiono con meno forza espressiva rispetto alla musica occidentale moderna e classica, ma viene posto l’accento in modo più deciso sullo sfondo della nota tonica. Tornando alla nostra analogia, lo stato primordiale della mente è qui costantemente riconosciuto e le sensazioni dell’allontanamento e avvicinamento avvengono in piena consapevolezza di esso. In qualche modo lo sfondo (la nota originaria costante) ed il particolare (le altre note che con essa si relazionano) convivono come due movimenti di una stessa armonia: il particolare necessita dello sfondo per poter sorgere, ma lo sfondo non sarebbe concepito come tale se non fosse osservabile un particolare stagliarsi sul suo orizzonte.
Una metafora musicale
Tale rapporto di interdipendenza ricorda un’altra metafora musicale usata per comprendere la psiche:
“se tendi troppo, la corda si spezza; ma se la tendi troppo poco non suonerà”.
Così il Buddha enuncia la via di mezzo (majjhimā paṭipadā). Con la metafora della corda il Buddha indicava come stabilire la concentrazione corretta per porre le basi della realizzazione del nirvāṇa. Servendoci di ciò, possiamo dire che la strada della realizzazione non si trova nel dualistico differenziare lo sfondo dal dettaglio, ma nell’integrarli.
Del resto, in merito a processi d’integrazione, la musica coinvolge entrambi gli emisferi cerebrali, proprio perché l’elaborazione del suono impegna il cervello sia in senso cognitivo che emotivo (ad esempio l’elaborazione delle scale musicali avviene primariamente nell’area di Wernicke dell’emisfero sinistro, mentre la melodia viene processata principalmente nell’emisfero destro).
Molte sono le connessioni e le relazioni che l’ascolto della musica sollecita e attiva tra gli emisferi cerebrali, confermando così da un punto di vista neuroscientifico il proprio innato dinamismo.
Ecco quindi come la musica può esserci d’aiuto, svelandosi a noi per ciò che è: la danza dinamica e armonica, dialogo che si genera tra la tonica e le altre note, cioè tra lo sfondo e il dettaglio, tra il contesto ed il particolare, è per la nostra mente uno specchio.
I movimenti della musica, quando in essa possiamo rispecchiarci profondamente, generano in noi il movimento tra i rigidi poli della nostra condizione abituale dualistica: concetti come l’Io e l’altro, interno ed esterno, perdono la loro apparenza monolitica, per svelarsi come parti totalmente interdipendenti e in movimento di un’unica sinfonia. E una volta innescato il movimento, si sarà aperta la strada del profondo riconoscimento, il confluire di tutte le forze nell’indissolubile unità da cui esse stesse provengono.
Questa è una delle possibili letture di un tema che Śāṛṅgadeva, forse volutamente, ha lasciato aperto all’esperienza e all’interpretazione.