L’antica conoscenza delle Upaniṣad sugli stati di coscienza A, U, Ṁ e turīya, trova più di una conferma nelle neuroscienze, nella fattispecie delle onde cerebrali. Le onde cerebrali sono misurabili attraverso specifici EEG con l’unità di misura Hertz (cicli al secondo): sono la testimonianza elettromagnetica della nostra attività cerebrale.
Tanti più Hertz, o cicli per secondo, l’onda compie, tanto più elevata è l’attività del cervello. Ecco che tornano gli stati di veglia, sogno e sonno profondo: dalla veglia al sonno senza sogni, il cervello passa gradualmente da un’intensa e rapida attività ritmica elettromagnetica, a un ritmo tanto lento da approssimarsi all’inattività (lo 0,1 Hz delle onde Epsilon). Le onde cerebrali sono denominate Beta per lo stato di veglia (da 14 a 30 Hz), Alpha per lo stato intermedio tra la veglia e il sonno (dagli 8 ai 13,9 Hz), Theta per la fase REM o di sogno (dai 4 ai 7,9 Hz) e Delta per lo stato di sonno profondo (da 0,5 a 3,9 Hz) ed Epsilon (da 0,1 a 0,4 Hz).
Si devono aggiungere a queste le fasce di onde Lambda e Gamma (30/100 Hz), che sono più veloci delle Beta e vengono sperimentate raramente in occasione di stati mentali d’urgenza che necessitano la rapida coordinazione di diverse aree cerebrali (anche stati di intensa compassione).

Lo stato di meditazione profonda comprende le fasce Theta, Delta ed Epsilon. Tornando ad AUṀ, nel Māṇḍūkya Upaniṣad si evidenzia come lo stato di veglia (Beta) sia caratterizzato dalle interazioni con il mondo date dalle “diciannove aperture” (gli apparati del corpo e le funzioni che consentono di fare esperienza della realtà fenomenica, compresi i cinque sensi e il pensiero): questa indicazione, confermata dal fatto che in onde Beta il cervello è impegnato nell’elaborazione dei dati sensoriali, suggerisce che tanto più l’attività elettromagnetica è “indaffarata” con gli impulsi sensoriali (ovvero tanto più è serrato il ritmo delle onde cerebrali) tanto meno si palesa la qualità intima e profonda della coscienza, lo sfondo sul quale le attività cerebrali si formano, cioè la consapevolezza somma di turīya; proprio come le onde dell’acqua che, agitate, non mostrano il fondo.
Un parallelismo con la tradizione buddhista Vajrayāna può fare ulteriore chiarezza su questo punto: secondo Lama Thubten Yeshe (nel commentario alle istruzioni sulla meditazione Mahāmudra) durante la meditazione si fa esperienza delle “dissoluzioni”, ovvero del graduale e verticale dissolversi dell’influenza dei centri energetici (cakra) in favore del riconoscimento diretto della base naturale e luminosa della mente (Mahāmudra); tale processo di dissoluzioni è lo stesso che si verifica durante la morte, per come ci è pervenuto attraverso il Libro Tibetano dei Morti di Padmasambhāva, e si accompagna a diversi stati di coscienza e percezione. Tali dissoluzioni, viene esplicitato in molti commentari del testo, vengono esperite in modo meno consapevole nei passaggi tra veglia, sogno e sonno profondo. La pratica meditativa sembra a tutti gli effetti essere la strada maestra per realizzare lo stato di turīya, ossia ciò che palesa la natura della coscienza. È però possibile prendere in considerazione un altro aspetto, meno usuale, di AUṀ: si tratta dell’aspetto sonoro.
Vedremo L’aspetto sonoro di AUṀ nel prossimo articolo.