“La lingua sanscrita, quale che sia la sua antichità, è una lingua di struttura meravigliosa, più perfetta del greco, più copiosa del latino, e più squisitamente raffinata di ambedue, nonostante essa abbia con entrambe una affinità più forte, sia nelle radici dei verbi sia nelle forme della grammatica, di quanto probabilmente non sarebbe potuto accadere per puro caso; così forte infatti, che nessun filologo potrebbe indagarle tutt’e tre, senza credere che esse siano sorte da qualche fonte comune […]. Tanto il gotico quanto il celtico […] e l’antico persiano potrebbero essere aggiunti alla medesima famiglia […]” (A. Giacalone Ramat e P. Ramat (a cura di), Le Lingue indoeuropee, Bologna, Il Mulino, 2003, p. 45).
Queste parole fanno parte del discorso storico che Sir William Jones pronunciò nel 1786 alla Asiatic Society di Calcutta. Nel suo elogio della lingua sanscrita, il giurista e orientalista inglese corroborò alcune intuizioni di studiosi e viaggiatori europei che lo avevano preceduto. Per esempio nel 1585 Filippo Sassetti, mercante fiorentino trasferitosi in Oriente, aveva notato delle corrispondenze tra alcune parole sanscrite e italiane (es. deva/Dio, sarpa/serpe, nava/nove). Ma è Franz Bopp (1791-1867), considerato il padre della linguistica storica, che dopo quattro anni di studio di lingue orientali a Parigi palesò l’importanza centrale della lingua sanscrita all’Europa del suo tempo.
Grazie all’opera più importante del Bopp, Über das Conjugationssystem der Sanskritsprache in Vergleichung mit jenem der griechischen, lateinischen, persischen und germanischen Sprache [Sul sistema di coniugazione del sanscrito in comparazione con quelli del greco, del latino, del persiano e del germanico], pubblicata nel 1816 a Francoforte sul Meno dalla Andreaischen Buchhandlung, si prese definitivamente coscienza dell’esistenza di un’unica grande famiglia linguistica che riuniva non più solo le lingue occidentali, ma anche quelle appartenenti al mondo indoario (confrontiamo per esempio la somiglianza delle parole <<padre>>: sanscrito pitṛ, greco patèr, latino pater, gotico fadar; o <<nome>>: sanscrito naman, greco ònoma, latino nomen, gotico namo).
La “scoperta ufficiale” del sanscrito in Occidente, avvenuta tra il XVIII e il XIX secolo dopo la conquista dell’India da parte dell’Impero britannico, provocò così una vera e propria rivoluzione culturale.
In Europa, con l’introduzione del sanscrito negli ambienti di studio e di cultura, fiorirono le scienze della filologia e della linguistica storica e comparata. Si venne allora ad identificare un ceppo linguistico che imparentava strettamente culture anche lontanissime tra loro (il mondo indiano, greco, latino, iranico, celtico, germanico, baltico, slavo ecc.) e che doveva presupporre la comune origine di tutte queste lingue: fu proprio l’apprendimento della lingua sanscrita che, in questo nuovo contesto storico, indusse gli studiosi occidentali alla creazione del concetto di Indeuropeo.
Oltre a ciò, il sanscrito divenne un tramite con cui l’uomo romantico, alla ricerca delle proprie radici culturali, venne a conoscenza dei monumenti letterari dell’India. Leopardi ad esempio, nella sua prima giovinezza si avvicinò allo studio del sanscrito. Nel periodo storico in cui il “movimento romantico” attraversava tutta l’Europa e poeti e intellettuali ricercavano le radici culturali europee, gli antichi testi dell’India fecero, proprio attraverso la lingua sanscrita, il loro ingresso ufficiale in Europa, influenzando la filosofia, l’arte, la letteratura, le scienze. Si pensi ad esempio all’epica monumentale del Mahābhārata, al Rāmāyaṇa, alla Bhagavad Gītā, alle Upaniṣad o ai Purāṇa; si pensi all’Āyurveda, oggi in auge anche nel nostro Paese, o semplicemente ai numeri, che giocarono un ruolo fondamentale per lo sviluppo commerciale dell’Europa medievale: le cifre che oggi vengono utilizzate in ogni parte del pianeta provengono dall’antica numerologia indiana (Cfr. A. Camera e R. Fabietti, Storia antica e medievale, II, Impero romano e alto medioevo, Bologna, Zanichelli, 1983, p. 616).
Negli ultimi tempi il sanscrito in Occidente non è più relegato nell’ambito d’interesse di singoli studiosi, ma anche di uomini e donne che ovunque nel mondo si sono avvicinati alla saggezza dell’India. In Italia, per esempio, qualche anno fa è uscito il grande dizionario sanscrito-italiano, comprensivo di circa 180.000 lemmi (cfr. Comitato Dizionario Sanscrito-Italiano, Dizionario Sanscrito-Italiano, Pisa, Edizioni ETS, 2009). Oltre ad esprimere concetti legati alla filosofia indiana e agli antichissimi rimedi dell’āyurveda, si osserva che le parole che derivano dal sanscrito come yoga, karma, guru, ghi, sari, mantra, vyagra o avatar sono oggi parte integrante del linguaggio comune nei diversi ambiti della vita quotidiana, dalla cucina all’abbigliamento fino a second life.

Panini intento alla stesura dell’astadhyayi, il più importante trattato grammaticale del mondo antico. Ma qual è il significato di sanscrito? Il termine è un adattamento di saṃ-s-kṛ-ta (lett. ‘lingua compiuta’), nome con cui s’identifica la lingua classica dell’India. Grazie all’opera di Pāṇini (V-IV sec. a.C.), il più illustre grammatico dell’antichità, la lingua dei Veda fu sottratta all’azione del tempo e codificata in un raffinato trattato grammaticale (l’aṣṭādhyāyī) che sarebbe servito da modello per i posteri: nacque il sanscrito, da oltre duemila anni fino ai giorni nostri la lingua colta dell’India. Nel corso dei secoli, trovarono espressione in lingua sanscrita le antiche scritture dell’India che abbracciano ogni genere letterario: poesia e teatro, favolistica e narrativa, medicina e musica, diritto e politica, filosofia e grammatica.
Ai giorni nostri molti ricercatori provenienti dall’universo dello Yoga si avvicinano allo studio del sanscrito al fine di approfondire la propria disciplina, acquisire maggiore consapevolezza delle antiche posture (āsana) e delle tecniche di meditazione e di respirazione. Come accennavamo, diverse sono le parole sanscrite che ormai fanno parte del nostro lessico: forse tra queste, insieme alla parola yoga, la più famosa di tutte è mantra. Uno degli aspetti più affascinanti del sanscrito è proprio quello relativo al suono. Il sanscrito si distingue infatti come la lingua musicale per eccellenza: nasce dalla purezza e dall’armonia del suono vedico, oggi riconosciuto dall’UNESCO Patrimonio dell’Umanità (Parigi, 7 novembre 2003, dichiarazione di Koichiro Matsuura, direttore generale dell’UNESCO, su presentazione redatta da Indira Gandhi National Centre for Arts); si avvale poi di un alfabeto straordinario, la scrittura devanāgarī, che come scrive Saverio Sani in Grammatica Sanscrita (Pisa, Giardini Editori, 1991, p. 20), “è qualcosa di più che un semplice sistema grafico: è una vera e propria trattazione di fonetica” secondo la quale ogni simbolo grafico si legge in un unico modo e ogni suono ha un’unica rappresentazione.
Cos’è quindi un mantra? Il mantra è una vibrazione sonora che favorisce il controllo della mente e la meditazione. Si compone di suoni come la sacra sillaba AUṂ, che esercitano un benefico potere sulla coscienza in termini di serenità e purificazione e sono per questo utilizzati anche a scopo terapeutico (cfr. in merito D. Frawley, Ayurveda e la Mente, Vicenza, Il Punto d’Incontro, 2000, pp. 180-192). Vi sono innumerevoli mantra, ma la tradizione dei maestri, proprio come nella tradizione esicasta occidentale, seleziona come universali quelli che comprendono i santi nomi di Dio, ad esempio:
Auṁ Namo Bhagavate Vāsudevāya
‘Rendo omaggio al glorioso Signore, figlio di Vasudeva”
(sulle origini di questo mantra, cfr. Śrīmad Bhāgavatam, canto IV, cap. 8, Bhaktivedanta Svami)
Il sanscrito, dunque, si configura come una lingua che introduce a una visione del mondo e a una spiritualità di carattere universale. Nella mia esperienza di discente e docente, ne posso testimoniare il crescente interesse: i quattro-cinque studenti di questa antica lingua, partecipanti alle lezioni di metà anni Novanta, oggi si sono quasi decuplicati. Forse, all’alba del terzo millennio, assisteremo al risveglio del fascino per i valori romantici?