Haṭha Yoga

Haṭha Yoga, il Mallakand, il Kalarippayattu e le altre discipline ginniche di cui accenneremo nel capitolo de “Accendere il Crogiuolo”, si concretizzarono nel pensiero indiano in epoche antichissime.

La tradizione narra che la madre di tutte le pratiche ginniche furono una serie di tecniche fisiche che, nel tempo, vennero strutturate prima nel Kalarippayattu, la più antica arte marziale al mondo certificata, e poi in quello che oggi conosciamo come Haṭha Yoga. Si narra che esso fu insegnato direttamente dal signore Śiva alla sua consorte Pārvatī mentre erano comodamente seduti in riva ad un fiume, probabilmente il Gange che era scaturito dai suoi capelli. Sempre la storia narra che un pesce ascoltò gli insegnamenti e devoto ringraziò Śiva, il quale mosso a compassione lo fece divenire un uomo in carne ed ossa e così, ordinandogli di dare seguito ai suoi insegnamenti, nacque il primo yogin della storia umana: Ādi Yogi. Nacque da allora una acerrima diatriba su chi fosse questo personaggio e soprattutto su chi debba essere ritenuto il lignaggio di riferimento da lui lasciato. I Nāth asseriscono che da tale personaggio si snocciolò nei secoli un’ininterrotta sequela di maestri che, in tempi prossimi, condusse nel X sec. d.C. a Matsyendranāth fondatore appunto del movimento omonimo (Nāth).

Da tale ramo nacque poi il movimento dei Siddha nel sud dell’India, soprattutto dediti a tecniche alchemiche (rasāyana), fondatori della medicina e dei rimedi erboristici popolari che, a tutt’oggi, si affiancano a quelle dell’Āyurveda. Per altri il codificatore della disciplina fu Patañjali il quale la riversò in un corpus unico. Gli Yoga Sūtra a lui attribuiti, così come Patañjali stesso, non hanno datazione certa e sono compresi in un lasso di tempo che va dal II sec. a.C. al IV sec. d.C., è verosimile pensare che più scrittori (ovvero più autori che seguirono quello storico), allora, vi misero mano e questo lo si evince sia dall’influsso filosofico che il testo subì da altre scuole: Sāṃkhya, buddhismo, jainismo e śramaṇesimo, sia dall’uso antagonista di parole simili con significati contrapposti. La parola asmitā ne è forse l’esempio più eclatante, può voler dire sia ego che stato di assorbimento mistico, ossia due significati completamente opposti. Per altri ancora il padre certo dello Yoga fisico fu Lakulīśa, fondatore nel I sec. a.C. della setta dei Pāśupata, sotto la quale riunì diversi gruppi śivaiti dell’epoca anche in evidente contrasto ideologico e sociale. Ad oggi però gli eruditi sono concordi nel ritenere fondatori della disciplina, come già accennato, gli Śramaṇa, letteralmente i “mendicanti nudi” o coloro che sono “dediti agli sforzi fisici”. Come emerso dalle più recenti scoperte in materia, sono loro che idearono le prove ginniche che poi si concretizzarono nell’Haṭha Yoga attuale.

Gli Śramaṇa furono ideatori di quelle tecniche che successivamente vennero strutturate dai monaci, buddhisti e Jaina, come esercizi propedeutici alle lunghe sessioni meditative e come movimenti antesignani delle arti marziali (Kalarippayattu). Molto probabilmente il Buddha e Jīna si formarono nelle scuole ascetiche degli Śramaṇa, staccandosene poi in un secondo momento. Questi inventarono come accennato un tessuto filosofico di protesta contro la vita sociale che successivamente fu alla radice del movimento tantrico delle origini (atimārga). Dei due filoni più conosciuti però, ossia quello tantrico e quello patan͂jaliano, sicuramente il primo fu più vicino al movimento originario degli Śramaṇa. Un calderone di correnti dunque che, in seno alle prove ginniche, si divise in coloro che apprezzavano ed usavano i sensi come mezzo di liberazione e coloro che li negavano ed ostacolavano.

Chiara

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