Alzando il velo di māyā nelle relazioni interpersonali: esiste un confine tra l’attirare un qualcosa inconsciamente e la proiezione da parte di terze persone senza una nostra responsabilità nascosta?
Detto in parole semplici, quando succede un qualcosa di spiacevole, per esempio, per la quale cosa si diviene oggetto di un’accusa immeritata, di un problema non da noi causato o altro, quel qualcosa è prodotto/attirato dal nostro inconscio, magari in un meccanismo autopunitivo, o proviene solo da fuori, da chi, essendo irrisolto, ce lo proietta addosso senza alcuna colpa da parte nostra?
Ebbene esiste una prova infallibile per scorgere il confine sottile che separa i due casi, e alzare il velo di māyā. Quando si pratica la meditazione, e si libera la mente dal superfluo, essa diviene sempre più lucida, è dunque facile che le persone, “specchiandosi” in essa, proiettino contenuti estranei al meditante provenienti, invece, da loro medesimi. Ciò avviene a causa della forza titanica posseduta da una coscienza raffinata dal silenzio. Non a caso l’arte meditativa nello zen è detta: “mirror mind”, mente specchio, avente perciò la caratteristica di riflettere i fenomeni non identificandosi con essi.
Quale è allora il confine tra essere oggetto di proiezione ed attarre queste ultime senza esserne responsabili? Il primo monito importante sono le reazioni. Se si è oggetto di proiezione e si reagisce in malo modo significa che, molto probabilmente, in noi sono presenti parti della personalità irrisolte che si agganciano perfettamente a quelle proiezioni distorte. In questo caso, allora, la reazione denuncia il fatto che il nostro inconscio personale è assai compatibile con la proiezione in oggetto. Se non lo fosse non reagirebbe e rimarrebbe serena nel disinteresse, cosa che farebbe comprendere chiaramente il fatto che si è difronte ad una proiezione dall’esterno.
Non è finita però, perché le reazioni, diciamo, “su di giri’ sono tipiche delle personalità aggressive irrisolte. C’è però un’altra tipologia che aggancia la dinamica pur non reagendo apparentemente in maniera evidente. A tale tipologia appartengono gli “aggressivi passivi” ed i “narcisisti”. I quali, prima, innescano le dinamiche di proiezione, e poi, si smarcano nella calma apparente, alimentandosi dell’attenzione emotiva altrui ricevuta.
Ora se ciò accade, ed il narcisista in oggetto siamo noi, conviene accorgersene in tempo e bloccare la dinamica per non creare karma; se invece il narcisista è il nostro prossimo, ossia chi innesca la dinamica, allora è necessario staccare l’attenzione, non curandosi di ciò che accade. Se, infine, godiamo in silenzio della dinamica proiettiva in maniera calma e apparentemente non aggressiva, è necessario capire che il malato siamo noi e che siamo sempre noi la persona che andrebbe curata in relazione a tale meccanismo distorto di attrazione dell’attenzione altrui.
L’aggressivo passivo ed il narcisista creano le dinamiche e poi fingono di non reagire ad esse, ma intimamente godono di ciò che accade.
Facciamo un esempio, due persone vengono accusate di furto, una si arrabbia e denuncia così di essere, anche se innocente, irrisolto e compatibile con ciò che accade (personalità aggressiva); l’aggressivo passivo invece non reagisce, ma ugualmente gode di essere al centro dell’attenzione, anche quando quest’attenzione è malata.
Se reagiamo ci sono parti di noi intrappolate in quello schema relazionale (personalità aggressiva), se non reagiamo fuori ma ne godiamo nell’intimo non siamo ancora divincolati (personalità aggressiva passiva), se ne rimaniamo equidistanti siamo momentaneamente liberi da quello schema malato, alzare il velo di māyā.